Due scenari per il lavoro del futuro
Pubblicato da Gian Mario
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2017

Sono passati quasi vent’anni dalla pubblicazione de “Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro” di Ulrich Beck. Il sottotitolo dell’edizione italiana curata da Einaudi era “Tramonto delle sicurezze e nuovo impegno civile”: la prima parte della frase si è avverata. Il corpo del libro era dedicato all’analisi di scenari collegati all’emergere di un’economia basata sull’informazione.

La discussione non si è molto allontanata dalle questioni sollevate da Beck: l’informatica modifica le logiche del lavoro, mette in discussione i posti di lavoro tradizionali, aumenta le possibilità di progettare forme di lavoro inquadrate in un’economia attenta alla sostenibilità, ma suggerisce anche forme di autoimpiego che si alternano tra la retorica dell’”imprenditore di sé stesso” e la trappola della “flessibilità precaria”. Mauro Magatti, autore di “Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro” (Feltrinelli, 2017). Sottolinea a sua volta due scenari: “efficienza per sicurezza” e “sostenibile contributivo”. Il primo scenario è descritto dal grande pensatore francese Bernard Stiegler con il termine “grammatizzazione”: «L’insieme delle dinamiche di registrazione, formalizzazione e discretizzazione che permettono l’archiviazione e la riproducibilità di gesti e linguaggi» che il digitale porta alle estreme conseguenze. «Per questa via, la soluzione alla crisi nella quale ci troviamo potrebbe prendere la forma di un neotaylorismo digitale». Quello che per il sociologo Antonio Casilli conduce gli umani a lavorare al servizio delle macchine. L’altro scenario, invece, discende dalla «convinzione, come ha di recente ricordato Joseph Stiglitz, che l’unica prosperità possibile è quella condivisa».

E la chiave di tutto è nella sostenibilità. In questo scenario la produzione di beni si arricchisce di una dimensione ulteriore. Oltre l’economia del mercato e quella dello stato, esiste uno spazio intersoggettivo nel quale si perseguono finalità orientate alla qualità della vita. Per esempio, l’edilizia che non produce più soltanto nuove case ma riqualifica quelle esistenti dal punto di vista energetico e ristruttura i quartieri per creare spazi di relazione al servizio di una popolazione che invecchia si muove nella direzione della qualità della vita ma non in relazione a una domanda individuale o statale: dipende da una complessità di spinte che coinvolgono capitali per gli investimenti, organizzazioni di comunità, incentivi fiscali e molto altro. Chi organizza la domanda per l’edilizia del futuro svolge un lavoro che merita un compenso, anche se il committente non è lo stato e anche se la prestazione non è di mercato. L’economia della felicità ritorna a far sentire la sua ispirazione.

 

Articolo tratto dal blog di Luca De Biase: http://blog.debiase.com/

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