• barbara ha pubblicato un commento il 16/1/2009

    @floredana E’ un pò lungo da spiegare, comunque…intorno agli anni ’90, se non ricordo male, si è aperto un dibattito sulla possibilità che le variabili non economiche (culturali) venissero inserite nei modelli di crescita. Vennero elaborati dei modelli per definire quali volri culturali potessero essere determinanti (in positivo o negativo) per la crescita. Tra questi modelli, “la sindrome del bene limitato” , caratterizzata dalla percezione dell’ambiente come “chiuso”, nel senso che non si può disporre di altre risorse oltre quelli esistenti, dalla percezione dell’economia come un gioco a somma zero per cui la propria ricchezza è sinonimo di sottrazione ingiusta di risorse a danno di altri. Questa situazione da un lato genera sospetto verso gli altri, dall’altro porta a celare la propria ricchezza. In tale clima, la cooperazione è impossibile ed è impossibile stabilire legami non istuzionalizzati. In pratica: se io ho 100, non posso cederne 50 perchè mi priverei di parte della mia ricchezza. Così anche il potere o le relazioni vengono viste come limitate: se una associazione si appropria delle risorse, allora necessariamente l’altra deve averne di meno. Mi rendo conto che la spiegazione è alquanto riduttiva, però se fai una ricerca su libero con “sindrome del bene limitato”, troverai un quaderno del Comune di Genova sulle risorse immateriali e lo sviluppo economico. Tutte le teorie sono poi racchiuse in Marini, Le risorse immateriali, Rubbetino.