[Serena FerraraPartecipante]

Cosa ho imparato dal Kublai Camp? 

1. Che per quanto la rete sia uno strumento di relazione strepitoso, non c’è niente di meglio che poter guardare una persona negli occhi, stringerle la mano, sentire le sue emozioni (l’ansia, la preoccupazione, e poi la delusione o la gioia, a seconda dei casi) e, con il trascorrere delle ore, la stanchezza e la voglia di tornare alla propria quotidianità, ma consapevoli che da questo momento si avrà un ricordo in più!

2. Che nonostante questo Paese si curi poco di loro, c’è un’intera generazione di giovani che ha grandi idee e voglia di realizzarle!

3. Che per realizzare un progetto ci vogliono investimenti e piani di business; ci vogliono possibili finanziatori e standard  e ricavi; è utile anche essere tecnologicamente avanzati e il più possibile “trascendenti”  (non essere radicati, non avere alcuna zavorra materiale): essere insomma “leggeri” per volare da un mercato all’altro!   

4. Che quanto detto al punto precedente impallidisce di fronte all’ostinata intramontabilità dei bisogni e dei desideri dell’uomo, che nonostante la tecnologia e la globalizzazione, in fondo, sono sempre gli stessi: il desiderio di proteggere i bambini dalla violenza o di donargli un’esperienza indimenticabile (per qualcuno); la fascinazione del viaggio (per qualcun altro altro); e ancora, l’ostinata volontà di rinnovare l’identità di un piccolo borgo o di garantire sicurezza ad una collettività; e, su tutto, il convincimento che la Cultura rimane, sempre e comunque, il bene più prezioso e irrinunciabile, senza il quale nessuna tecnologia e nessun modello economico hanno ragione di esistere.

[Nicola SalviMembro]

Cara Serena, sotto scrivo pienamente quello che hai affermato qui. Grazie!

 

Se il Camp fosse servito anche solo a darti queste consapevolezze, io ne sarei soddisfatto.

 

Lunga vita a Un libro in mezzo al mare

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