Intervista a Carlo Alberto BARBIERI Coordinatore della Commissione Territorio del Piano Strategico dell’Ass. Torino Internazionale

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      Mario Mangone
      Partecipante

      Prof.Carlo Alberto BARBIERI Coordinatore della Commissione Territorio
      del Piano Strategico
      dell’Ass. Torino Internazionale
      17 Luglio 2008

      Io provo a fare qualche considerazione, partendo anche dalla vostra sollecitazione, riguardante le forme del post-fordismo urbano e cioè dal processo che sta caratterizzando questi ultimi anni di Torino.
      E’ un processo importante di cambiamento, secondo noi di metamorfosi.
      La provocazione è che questo processo di trasformazione della città di metamorfosi della città industriale e fordista, per definizione è la Detroit europea, se vogliamo così è stata vista e pensata dagli altri.

      E’ possibile che questa metamorfosi, un pò gattopardescamente ritorni alle origini e cioè che produca una sorta di metamorfosi neofordista, quindi sarebbe abbastanza contraddittorio che una metamorfosi, per superare, per cambiare la propria natura il proprio dna di città industriale, organizzata sul fordismo, produca una nuova Torino sostanzialmente neofordista.

      La cosa interessante è che in parte c’è del vero, in questo senso però,solo in questo senso, se del fordismo guardiamo, la forte struttura organizzativa dell’economia della società, dell’urbanistica. La città di Torino non si è sbarazzata di una cultura organizzativa, questo però può essere un punto di forza della città e della società locale, perché rende possibile cumulare in senso innovativo, su qualche cosa che è stato un punto di forza, anche un punto di debolezza perché l’eccesso di fordismo, l’eccesso di natura industriale di questa città, ne ha ingessato le potenzialità, relegandola ad un destino condannato al successo, alla crescita o all’insuccesso e il declino dell’industria. Questo stava avvenendo e la città ha saputo, anche appoggiandosi a questa risorsa, questo forte dna, guardare oltre, avere una visione, percorrere pezzi di traiettoria di cambiamento, fino ad essere percepita come una metamorfosi, anche per questa ragione.

      Torino non ha fatto il salto da città industriale a post industriale. Credo si possa riconoscere in Torino una città contemporanea, che guarda al futuro come città neoindustriale, come città della società e della conoscenza.
      Per noi industriali intendo una situazione in cui la produzione, la cultura della produzione, le organizzazioni della produzione, la capacità di progettare produzione impresa, non sono stati buttati via. Sono vivi, hanno saputo riorganizzarsi e sono una delle colonne su cui poggia la società torinese, non è l’unica, com’era una volta, ma è uno dei pilastri su cui si poggia la società.
      Da questo punto di vista la domanda, che è provocatoria, può avere una risposta che non può essere nettamente no, ma bisognerebbe rispondere, come dicono gli inglesi it’s “dipende”. Dipende, se salviamo questo forte aspetto organizzativo che rintracciamo, per esempio, nello straordinario successo attribuitoci per fortuna dagli altri. Naturalmente anche noi siamo consapevoli di questo successo, ma è il pianeta in senso di globalizzazione, che ha attribuito a Torino, legato alla ottima organizzazione e allo svolgersi dell’evento olimpico, sia pure invernale 2006, quello che resta.

      Se io dovessi spiegare ad un marziano che cosa resta, secondo me, di straordinariamente rilevante del posto olimpico non sono, nè gli impianti, nè gli investimenti fatti, ma resta la reputazione fondata su fatti concreti, riconosciuta dal pianeta a Torino, di essere un territorio, una società, una città che sa organizzare. Cose se una città sa organizzare, cose su cui io vado lì ad investire e se dispone anche di uno straordinario paesaggio, di una cultura, che vuole riqualificare l’ambiente, di una capacità di sviluppo culturale contemporaneo innovativo e artistico. Se è una società che forma conoscenza, non solo investo ma faccio riferimento, anche a questo territorio per viverci la scelgo, non solo perché organizzano meglio il mio investimento, ma il mio investimento qui è organizzato meglio, sono disposto a viverci e portare la mia famiglia a condizione che mia moglie trovi un buon circolo del whist, piuttosto che un circolo del golf. Però anche questi ci sono, devono esserci buone scuole, la città pubblica e privata deve funzionare e la qualità complessiva deve essere elevata, se poi è anche una città sostanzialmente sicura e che sostanzialmente funziona, in un complesso che funziona poco, come l’Italia percepito, come tale nel pianeta Torino ha giocato bene le sue carte.

      Ora dire che tutto questo derivi da una cultura comunque fordista, non mi sento di dirlo assolutamente, ma mi sento di sottolineare che non è estranea alla cultura fordista. La novità può essere rappresentata da una società locale, che approfittando della crisi fordista della città industriale, si è accorta che disponeva di pezzi della società, che non coincidevano con il management, la direzione, la proprietà della Fiat. Quindi il dover uscire dalla crisi, il dover guardare in avanti, come fossimo alla fine dell’800, quando la città ha dovuto non dico all’improvviso, perché lo sapeva benissimo reinventarsi un ruolo, persa la capitale e decide di diventare una città fordista, prefordista, il dover uscire, il doversi reinventare, ha aperto lo sguardo di tutti verso vari attori.

      Ogni attore s’è accorto, che c’erano altri attori e che gli attori erano diversi nella città e non erano la Famiglia Agnelli e il management della Fiat. Questo ha aperto una prospettiva abbastanza non praticata a Torino, che io chiamo la cultura del gioco di squadra, della società civile, della valorizzazione della pluralità degli attori. Questa è una situazione in cui, come dicevo, Torino ha lasciato aperto molte strade. Una di queste è la strada neoindustriale, l’altra della società della conoscenza e della capacità di formare l’alto livello e l’eccellenza, non disgiunta dalla base economica neo-industriale, perché il mantenere e valorizzare questo passato vuol dire agganciare la formazione alla ricerca applicata, ad esempio, che difficilmente nel nostro paese viene fatta, soltanto quasi mai nelle università, non parliamo del C.N.R., ma viene fatta molto nel mondo dell’impresa, a condizioni che parliamo di imprese medio-grandi, grandi. grandissime. Purtroppo nessuna altra dimensione fa ricerca, cioè la media e piccola impresa non fa ricerca .Torino disponendo di medie e grandi imprese e si può candidare ad essere un luogo di formazione e ricerca, quindi non di una formazione, come dire di una ricerca di base, l’analisi di base la cultura di base, la teoria, ma molto legata al trasferimento tecnologico dei risultati della ricerca e quindi in grado di essere competitiva in un quadro internazionale di società delle conoscenze.

      Questa è la carta forte che gioca Torino. Inoltre la cultura della valorizzazione delle proprie qualità architettoniche, urbanistiche ambientali e paesaggistiche, legate ad una cultura, che pian pano si sta sviluppandosi seriamente a Torino, sulla sostenibilità, sul confort ambientale, sull’efficienza energetica ed una propensione all’eccellenza artistica, pur non essendo considerata al livello delle città d’arte internazionali, che poi sono quasi tutte italiane, Torino comunque risulta essere una città capace di fare produzione artistica e di sviluppare un circuito artistico internazionale di ottimo livello.

      Queste sono le carte su cui lavora la città,il sistema locale diciamo metropolitano, ma persino regionale. E’ un sistema che guarda allo Stato, per una storica cultura e senso dello Stato che caratterizza il Piemonte. Se l’unità d’Italia è partita da qua, quando è stata spostata la capitale a Roma, lo Stato è stato trasferito con tutto l’apparato burocratico piemontese e del Regno Sardo, poi in sostanza vanno a fare i funzionari a Roma. Quindi c’è una cultura dello Stato che non è sostanzialmente assente, come in gran parte del Sud, il paradosso del Sud è che è la parte d’Italia più dipendente dallo Stato, ma meno dotata di cultura dello Stato.

      Perché il Regno delle Due Sicilie, la frammentazione, lo stesso Stato Pontificio, la stratificazione storica del Sud, ha portato a una cultura di base ribellistica e comunque con poco senso della cosa pubblica e dello Stato e molto senso dell’individualità e del privato. Da questo punto di vista il paradosso è forte, perché il Sud chiedendo molto allo Stato e dipendendo molto dallo Stato, è troppo dipendente da un sistema di “governo prefettizio”, che è uguale in tutto il paese, ma rispetto al quale è molto più dipendente del Nord, in particolare il Nord-Ovest,in particolare il Piemonte nel Nord-Ovest, che ha la capacità di interloquire con lo Stato senza dipendere da esso.

      Ma stanando lo Stato e sfidandolo su frontiere nuove, in questo senso l’orgoglio e gli argomenti con cui Torino ha chiesto di essere capo saldo delle celebrazioni del 150esimo dell’Unità d’Italia, trovano un fondamento: e cioè perché a Torino?
      Perché tutto è partito da Torino, ma non basta, perché Torino si candida ad essere la “piattaforma italiana” insieme ad altre, rispetto alla quale raccontare al pianeta l’Italia, perché 150anni di Unità d’Italia sono rispetto a Expo 2015 a Milano, una chance che l’Italia ha, di raccontare la sua storia. Tra gli altri, Expo 2015 ha un impostazione opposta, cioè venite in Italia a vedere il pianeta, cioè Expo 2015 è il pianeta che si espone in Italia, quindi non venite a vedere l’Italia,venite a vedere il pianeta in Italia, quindi avete la possibilità di guardare l’Esposizione Universale da questo punto d’osservazione, che è l’Italia.

      Se lo Stato, le due città Milano e Torino e le due società,sono in grado di cogliere come fatti in sequenza, come possibilità di sinergia strategica, il “trailer“, rappresentato dai 150 anni d’Italia e poi il “film” nell’Expo 2015, soltanto quattro anni dopo, cioè niente, qui ci sono le condizioni per giocarsi una carta altissima, un pò diversa dalle Olimpiadi. Girerà più gente, gireranno più osservatori, gireranno più soldi delle Olimpiadi. Ma quello che è irripetibile di una Olimpiade, anche se parziale come quella invernale, è essere stati migliaia di ore,non ricordo più il dato,sui network del pianeta per un mese. Non c’è evento coperto in questo modo, non c’è l’Expo 2015, figuriamoci i 150 anni, noi saremo in rete sul pianeta qualche ora, ma con le Olimpiadi siamo stati migliaia di ore in rete, in un tempo concentrato di 15 giorni dell’evento e qualche giorno prima e qualche giorno dopo ,questo è irripetibile.

      Quindi non dobbiamo aspettarci una cosa che produce degli effetti superiori delle Olimpiadi, da questo punto di vista d’immagine, ma produce altri effetti che le Olimpiadi non potevano produrre, dura molto di più Expo 2015, si occupa di altre cose, non riguarda gli interessi degli sportivi, che però sono gli 80%della popolazione sviluppata, tutti sono interessati a uno sport a un evento olimpico, che se di nicchia, quella invernale, anche qui Torino non casualmente è stata la città tra le due ad aprire gli occhi a Milano.

      Su questa cosa è stato Chiamparino a dire alla Moratti “guarda che ci sono i 150 anni” e che c’entra ha detto Lei “c’entra se c’è, li giochiamo assieme, ci giochiamo una briscola che non ha nessuno” in Italia, sicuramente non ha nessuno in Europa e forse nel mondo. Quindi giochiamoci questa carta con una strategia comune. Questo vuol dire che Milano e Torino giocano una partita per conto proprio, di fronte al paese? No, se il paese è capace di non fare l’errore che ha fatto, per esempio in occasione delle Olimpiadi invernali, che fino all’ultimo momento lo Stato italiano, quello dei prefetti, ha considerato le Olimpiadi della Regione Piemonte e di Torino, della Provincia di Torino e dei sindaci olimpici. Soltanto alla fine, quando ha visto che la capacità organizzativa riusciva ad organizzare, hanno piantato la bandiera soldi, ne sono arrivati per carità, ma la bandiera per dire le Olimpiadi le hanno fatte l’Italia, avvalendosi del territorio di Torino e dei torinesi. E’ la prova di quello che c’è da fare, cioè bisogna che il paese sia consapevole, che ci siano delle punte nel paese capaci di competere con Milano e Torino, per esempio nord-vest più del nord-est, perchè il nord-est non ha la struttura di media e grande impresa, non ha fondamenta sufficientemente lunghe è la piccola e media impresa è il popolo della partita iva, molto flessibile, ma è poco strutturato, qui c’è struttura e sulla struttura costruisco un palazzo di molti piani, su poca struttura faccio una casetta, che sono quelle della città del nord-est del Veneto, come emblema di quella società, la mia fabbrichetta, la mia casetta, la mia recinzione con l’alpino di gesso, biancaneve e i sette nani. Mi muovo solo con la macchina, perchè la città diffusa non ha metropolitana, è un territorio non sostenibile. Quello della “città diffusa” Milano-Torino, è in grado di presentare un sistema insediativo estremamente compatto quindi sostenibile, su cui si può fare politiche di efficienza energetica, mobilità sostenibile. Allora che deve fare il paese? Deve essere consapevole che ci sono delle punte, non entrare nella logica perversa di giocare al ribasso. Cioè io faccio fatica ad apprendere, tu professore adegua il programma a me che faccio fatica ad apprendere, no non fermiamo chi è veloce e provo ad agganciarmi al suo treno, perchè c’è spazio per tutti, in realtà cioè, se l’Italia attraverso questa briscola giocata bene, entra nel sistema della globalizzazione, non soltanto come problemi sociali, problemi di sicurezza, problema della spazzatura di Napoli, problema della corruzione, mafia, camorra, santa corona ed ‘ndrangheta, ma entra per altre cose, tutti ne traggono vantaggio a condizione di non stare ad aspettare, che arrivi il rancio, la briciola come esito di questo successo, quindi bisogna entrare in rete.

      Quindi ottima l’idea che ha la società di Napoli se prova, ad uscire da uno schema, che è un po’ il fordismo di Napoli, cioè il fordismo di Napoli è un sistema di città, di sistema dirigente, un sistema economico debole, incapace di organizzare, incapace di fare squadra.
      Allora, così come Torino rischiava di essere una palla al piede, cioè quella di essere condannati a far parte del fordismo. Napoli non deve considerarsi condannata alla disorganizzazione all’improvvisazione, alle belle canzoni, alle punte di straordinaria cultura, di straordinaria eleganza, di straordinaria bellezza, di un sistema incapace a funzionare e solo capace di chiedere a qualcuno, ma di farlo funzionare anche diretto dallo Stato. Per questo non c’è nessuno in grado di aiutare il Sud, se continua in questa direzione, è destinato alla sconfitta.

      Quindi si apre una sfida per far funzionare meglio il paese, dove le due parti concorrono in questo quadro, in questo contesto che ho accennato, perchè di più non si può fare. Torino Internazionale è del tutto coerente al quadro. Cioè Torino Internazionale è un ‘associazione che mette insieme attori della società civile ed attori della società pubblica, quindi mette insieme classe dirigente, classe politica, economica e società della cultura, per esempio.

      Come nasce Torino Internazionale, come associazione? Nasce attorno ad una attività di pianificazione strategica, quindi non nasce in provetta, Il successo dell’associazione deriva dal fatto che è la conclusione di un processo .
      Si avvia un processo di piano strategico che è volto a interrogarsi e a trovare una visione condivisa e azione e progettualità, per guardare al futuro di una città in declino, che rischiava di essere condannata al declino del suo fordismo. Avvia nel ‘98 e conclude nel 2000, questo processo di piano strategico, ancora abbastanza rozzo, molto, troppo Torino. Centrato rispetto ad una visione metropolitana che è quella sicuramente sul tavolo del secondo piano strategico. Torino sta già facendo il secondo piano strategico, del resto un piano strategico non è mai un prodotto,è un processo, è questa la sua forza, a conclusione del processo del primo piano strategico, gli attori coinvolti nel processo hanno trovato del tutto logico e fisiologico riunirsi alla fine del processo, avendone condiviso i risultati in una associazione che si chiama Torino internazionale, che costituisce un punto di forza della città. Non è un luogo di decisione, di governement, ma è una rete di governans, per fare gioco di squadra, ma è una organizzazione , che ha come principale missione di alimentare il gioco di squadra e questa alimentazione, per non essere uno stucchevole dibattito tra intellettuali, trova radici concrete, perchè insieme si continua a sviluppare progettualità ed azioni di tipo strategico, non solo urbanistico, guardando oltre il piano strategico del 2000.
      Da questo punto di vista un branchmark di Torino, può essere Barcellona, che ha avuto un posto olimpico, che dopo le olimpiadi ha sviluppato un piano strategico ed è oggi al suo secondo piano strategico. Quell’esperienza è stata ritenuta talmente positiva che continua. La cosa singolare di Torino è che mentre stava lavorando al piano strategico sono arrivate le Olimpiadi, quindi non è una cosa post-olimpica e io mi sento di dire che l’essere in pieno allenamento di gioco di squadra ha giovato a essere vincente nel dossier di candidatura e ciò è l’esito di un gioco di squadra.
      Quindi quello che Torino Internazionale continua a fare è esattamente questo, tra luci e ombre, alti e bassi. Per esempio il prossimo appuntamento, sviluppato dallo stesso Sindaco di Torino che è Presidente di Torino internazionale, insieme al Presidente della Provincia, insieme ad altri attori, dalle due Fondazioni bancarie tra cui la Compagnia San Paolo, dall’Unicredit e dalla Camera di Commercio e da quattro sindaci, uno per quadrante metropolitano, questo esecutivo è lo strumento per alimentare l’attività. L’appuntamento dicevo prossimo sarà una sorta di Stati Generali di Torino, in vista dei 150 anni e si faranno ad Ottobre, una sorta di Conferenza Generale Strategica, che sarà di nuovo l’occasione per valorizzare la città e per rilanciare quel gioco di squadra su nuovi obiettivi e nuovi progetti.

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